Voci da Haiti

Bologna-Francoforte-Miami-Port au Prince, Port de Paix, sono queste le tappe del viaggio che ha portato quattro ragazzi delle aziende Pascucci e Montebello tra i contadini della cooperativa Cocano ad Haiti. Eddy, Samuele e Fabio, tre persone molto diverse tra loro e con percorsi “di vita” totalmente differenti uniti dalla passione per il proprio lavoro e da un’esperienza che ricorderanno per sempre.

 

Quali erano gli scopi del viaggio ad Haiti?

E: Lo scopo principale del viaggio era quello di cercare di trovare soluzione ad alcuni problemi che si erano manifestati negli anni di collaborazione precedenti con la cooperativa Cocano.

F: Stiamo parlando di problemi più che altro relativi alla qualità del caffè che arrivava dalle piantagioni haitiane. Vi sono poi tutti piccoli problemi di contorno dovuti ad un’organizzazione latente e paradossalmente ad una non conoscenza delle dinamiche di una cooperativa. Dico “paradossalmente” perché uno dei nostri compiti è stato quello di spiegare agli organi direttivi della cooperativa cosa significa essere una cooperativa.

S: Un ulteriore scopo era quello di censire gli appartenenti alla cooperativa Cocano.

 

In pratica, in che modo cercavate di risolvere tali problemi?

F: Prima di partire avevamo strutturato uno strumento semplice ma di grande importanza. Niente di eccezionale, un semplice cartello con illustrati i difetti del caffè e le immagini del caffè che ci è arrivato fino ad oggi e come invece avremmo voluto che fosse. Ne abbiamo lasciato uno in ogni piantagione. Quello che abbiamo fatto ad ogni riunione era spiegare che “non eravamo contenti” del caffè che arrivava in Italia e raccogliere le problematiche relative alla coltivazione, raccolta e decorticazione del caffè. Dopo aver ascoltato i contadini cercavamo di comprendere in che modo avremmo potuto aiutarli per ottenere un prodotto vicino alla perfezione. Ho assistito a lezioni di botanica e di agronomia che difficilmente si potrebbero trovare in facoltà universitarie italiane.

E: Assieme a Samuele Girolomoni della Cooperativa Montebello, abbiamo cercato di dare più nozioni possibili per quanto riguarda gli interventi sulla piantagione con prodotti estremamente naturali, per combattere i vari batteri ed insetti che potrebbero attaccare le piante del caffè, ma anche per la fertilizzazione e la “nuova”semina. Problema reale, poiché come molti acquirenti di caffè haitiano ben sapranno, questo popolo è stato costretto dai propri governi, dall’instabilità politica e dall’embargo subito dagli Stati Uniti dopo la rivoluzione contro Duvalier, a distruggere le piante di caffè per affrontare un problema di cibo e povertà. Il caffè non si mangia, una banana o un cocco sì! Inoltre se in un paese c’è instabilità politica, i paesi consumatori hanno paura ad acquistare e si innescano i soliti meccanismi che portano al crollo dei prezzi delle commodities.

S: Tra le altre cose ci siamo recati ad Haiti per fargli capire che ci siamo, siamo intenzionati a sostenerli e vorremmo che il rapporto sia “felice” è duraturo.

 

Qual è la situazione del popolo haitiano ad oggi, aprile 2011?

F: Bisogna fare un distinguo tra la situazione in città e quella nelle campagne. Per comprendere la situazione nelle città prendete ad esempio quello che ci fa vedere la televisione. Per una volta i media ci consegnano una fotografia perfetta della realtà dei fatti. Tanti sono stati gli aiuti inviati dopo il terremoto, davvero poco e niente si è ottenuto. Non voglio però entrare nel merito di dove siano finiti tutti quei soldi. Una cosa è certa: bisogna investire sulle attività produttive e fare formazione, formazione e formazione. In questo modo gli haitiani e i loro figli potranno mangiare oggi e domani allo stesso modo.

S: La differenza fondamentale tra gli abitanti delle campagne e quelli delle città sta nella serenità delle persone. In città ci sono ragazzi di vent’anni che non sanno di che vivere, ci sono discariche a cielo aperto, pozze di escrementi per strada, persone impolverate, colera e altre malattie. Ci sono persone che non hanno voglia di sorridere. In campagna ci sono contadini che vivono dei frutti della terra, che condividono le risorse, che sono solidali tra loro, che vivono in comunità e che hanno il sorriso sulle labbra. Non sono sicuro che quanto appena detto sia la realtà dei fatti ma questo è ciò che ho percepito in quei dieci giorni ad Haiti.

E: Il popolo, nonostante tutto, è pronto ad accoglierti, colorato, pieno di ritmo, e pronto a ricevere il tuo aiuto concreto perché in ogni caso di aiuti concreti ve ne sono, tanti ed efficaci. Ma in un paese così vasto a volte sembrano gocce in un oceano. Ma l’oceano è fatto di gocce, e noi stiamo provando ad aggiungere la nostra, assieme alla Diocesi di Port De Paix, assieme ai suoi abitanti, assieme alla famiglia Girolomoni, alla famiglia Pascucci e tutti i collaboratori, ai clienti che orientano la scelta sul prodotto haitiano e ai contadini che lavorano la terra ogni giorno.

 

Che cosa ti ha più colpito del popolo haitiano?

F: Senz’altro la dignità e la fierezza. I loro lunghi silenzi e i loro sguardi sembrano dirti: “Sì, sono haitiano e ne sono fiero. Siamo un popolo che ne ha passate di brutte ma non molliamo mai e andiamo in giro a testa alta. Siamo molto più di quello che possediamo”. E per me è fantastico…è quello che vorrei poter dire di me stesso.

E: Mi ha colpito la fede, ma soprattutto la spiritualità. I momenti di preghiera tutti assieme mi facevano star bene. Ci tengo a sottolineare che la preghiera ad Haiti sancisce l’inizio e la fine di ogni momento di aggregazione, sia questo una riunione di lavoro o un pranzo o una cena. Ringraziano il Signore continuamente e soprattutto non chiedono, ringraziano.

S: Senz’altro l’ospitalità. Se conquisti la loro fiducia il poco che hanno è anche il tuo.

Qual è l’ostacolo più grosso che avete incontrato nel relazionarvi con la popolazione di Haiti?

F: Non ho dubbi, la diffidenza. Se non consideriamo i contadini che ci hanno ospitato, il resto delle persone ci guardava con diffidenza. Eravamo noi, con la nostra pelle bianca, gli estranei, noi a doverci difendere dagli sguardi della gente, noi gli intrusi. Ma non mi ha dato fastidio. Piuttosto mi ha rattristato. Vuol dire che gli uomini bianchi hanno sbagliato tanto, come poi la storia ci insegna.

E: Gli haitiani sono un popolo che è sempre stato tradito dall’uomo bianco. Siamo stati bravi a dare speranze, ad esporci come messia, a raccontare che le nostre missioni umanitarie non erano mosse da fini di lucro. Poi però per decine e decine di volte ce ne siamo andati quando non c’era più nulla da guadagnare. Ed i segni di quanto sto dicendo sono presenti sì nelle persone indigene ma anche nei luoghi che abbiamo visitato.

S: A La Croix c’è un impianto di lavaggio del caffè mai entrato in funzione ad opera di investitori giapponesi. Oppure vi sono dei magazzini con macchine per la decorticazione del frutto essiccato arrugginite e mai utilizzate. Ci sono depositi per lo stoccaggio del caffè mai impiegati. Tutto ciò lo abbiamo visto in una sola piantagione. Pensate a quante strutture mai utilizzate ci saranno in tutta Haiti!!

 

Come si svolgeva una tipica giornata ad Haiti?

F-E-S: I giorni trascorsi ad Haiti sono stati molto eterogenei ed è difficile scandire nettamente le fasi di una giornata tipo. Possiamo solo dire che quando eravamo ospitati dalla diocesi, la tendenza era quella di svegliarsi presto per raggiungere la piantagione dove avremmo avuto la riunione con i contadini. Finita la riunione si tornava a casa. Quando invece alloggiavamo dai contadini si partecipava anche alla celebrazione della messa e ad altri momenti di aggregazione della comunità. Ad esempio si vivevano dei bellissimi momenti la sera, prima di andare a dormire. La luce della luna piena accompagnava le chiacchiere prima di andare a dormire.

 

Hai qualche aneddoto particolare da raccontare?

F: Eravamo ad una riunione, tra i contadini della piantagione di Jaine Claire. I nostri posti erano in fronte alla platea di contadini, noi eravamo seduti l’uno di fianco all’altro. Ad un certo punto un contadino si alza e incomincia a parlare la sua lingua, il creolo, una sorta di francese. Il contadino interprete ci dice che i contadini volevano cantare una canzone per noi, per ringraziarci. Iniziano a cantare tutti in coro, in piedi, senza musica di sottofondo. Anziani, donne e bambini. Mi vengono i brividi, una lacrima scende sulla guancia. Mi giro a destra e poi a sinistra e vedo i volti commossi dei miei compagni di viaggio. In quel momento ho pensato che ci stavano facendo il regalo più grande che potessero fare a dei “bianchi”. Ci consegnavano il loro rispetto.

E: Scendendo da Gaspard, il penultimo giorno, dopo circa un’ora di cammino nel primo cocente pomeriggio, il presidente della cooperativa Cocano, Sem Il Fort, dopo averci fatto vedere casa sua sulla strada, si è fermato sotto ad un albero di Lime, piantato da lui sul sentiero anni prima. Ci dice “…ho piantato questo albero, per il popolo della mia terra, perché andando e tornando dal lavoro nei campi, possa trovare ombra e ristoro, possa asciugarsi il sudore e riposare, il Signore ha voluto che questo albero crescesse forte e sano, con foglie larghe e frutti succosi. Un segno della sua tangibile presenza.’’

S: Arriviamo alla piantagione nel tardo pomeriggio dopo tre ore di cammino sotto un sole cocente, stanchi e sudati. Ci preparano la “doccia”. In una piccola stanza allo stato grezzo ci sono due ampi contenitori. In una c’è dell’acqua pulita, l’altra è vuota. Prendiamo il sapone e ci incominciamo a lavare gettandoci acqua fredda prima, insaponandoci poi ed infine risciacquandoci dal sapone lasciando cadere l’acqua sporca nel recipiente vuoto. La doccia più strana della mia vita. Stiamo parlando di una “doccia” per gli ospiti. Loro si lavano nel fiume di solito. Anche questo fa capire come sono gli haitiani e qual è il loro concetto di ospitalità.

 

Perché Pascucci e Montebello riescono a mantenere un rapporto di collaborazione diretta con i contadini mentre molte altre grandi multinazionali e produttori di caffè hanno dovuto abbandonare?

F: Penso sia dovuto al fatto che sono due aziende un po’ atipiche. Tenete conto che ad oggi l’azienda Pascucci non ha ancora raggiunto il break even point dell’investimento e sinceramente è impossibile determinare se e quando lo raggiungerà. Montebello addirittura non si occupa di caffè, a parte per la distribuzione di caffè biologico Pascucci nei suoi circuiti. Le “grandi” multinazionali prima di procedere a questo tipo di collaborazioni fanno i loro conti e se poi capiscono che difficilmente potranno guadagnarvi, raccolgono le loro attrezzature ed i loro buoni intenti e se ne vanno.

S: La differenza la fanno le persone. Non per elevarci sopra altri professionisti ma noi ci siamo mossi a piedi per gran parte della nostra avventura, in sentieri larghi appena 40 centimentri e con la foresta tutt’intorno. Altre aziende avrebbero preso l’elicottero o avrebbero abbandonato in principio l’idea. Noi abbiamo dormito con loro, altri sarebbero tornati in albergo nella capitale. Sono solo due semplici esempi che spiegano perché il rapporto instaurato sia così speciale.

E: I progetti devono essere umili, alla portata della popolazione locale. Pascucci e Montebello hanno realizzato un progetto alla luce delle reali possibilità della terra, della popolazione, senza cercare cose impossibili, passo dopo passo. Fondamentale il contributo di Diane che, forte di una dedizione e di un amore unici, ha preso per mano i contadini in una terra che non conosceva e ha creato un progetto umile, ma concreto, che oggi, fra tante difficoltà, sta comunque crescendo.

 

Cosa possono e devono fare Pascucci e Montebello alla luce di quanto emerso da questo viaggio?

F: E’ necessario investire in attrezzature e depositi che permettano una migliore qualità del caffè ma è necessario anche fare tanta formazione.

S: I contadini haitiani hanno bisogno di capire come ci si organizza, come si dividono i compiti, come si tiene la contabilità e come si reinvestono i proventi extra della vendita del caffè. Il risultato finale deve essere fare in modo che la cooperativa si autoalimenti.

E: Dobbiamo continuare a credere nella solidarietà, nella terra e negli uomini.